Andrà (moi ennepe musa) mai a segno un progetto che si basa sulle fragili promesse (da marinaio, che coerenza) di trenitalia?
Inizio questo post come l’Odissea, non tanto per tirarmela (secondo voi so come continua?o cosa vuol dire?), ma per sottolineare il parallelismo mai troppo consunto tra il viaggiatore epico Ulisse e il povero utente delle Ferrovie dello Stato, costretto ad affrontare contrattempi che in confronto Scilla e Cariddi sono amabili bestiole. Anche perché mica abbiamo dieci anni a disposizione per tornare a casa, noi. Non c’è Penelope che tesse aspettandoci, e spesso non c’è neanche la cena nel microonde per i ritardatari.
Comincio dal principio
Chiamatemi Ismaele. “Ismaeeeleeeeee…c’è la lux che ti vuole!! Arriva subito”. Ok grazie.
Ora che ci siamo tutti, posso cominciare davvero.
C’è un treno che parte alle 7:18, e uno che parte alle 7:06. Dopo una nottata di studio per l’esame di Letteratura Italiana ho ritenuto, la mattina del 23/02, di potermi permettere quei venti minuti di sonno in più e prender quello dei 18. ERRORE!!
Dopo pochi minuti d’attesa l’altoparlante annuncia con rammarico di routine il ritardo del treno. 15 minuti. Tiro giù un santo, probabilmente S.Antantonio, e faccio un paio di calcoli su che autobus prendere una volta a Padova per non tardare all’appello. Dunque se corro e prendo il diretto piazze dei cinquant…dlin-dlon! Non arriverai mai, il tuo treno è in ritardo di mezz’ora! POSSANO I TUOI NATI TORCERE IL VISO DA TE! Ah sì? Bè allora lo sopprimo! Tiè!
Resto basita: Trenitalia, fedele come Polifemo al principio dell’”occhio per occhio” mi ha fregata. Il prossimo treno sarà fra ere geologiche. E arriverà dopo l’estinzione delle zanzare tigre! In più mi trovo alla stazione di Porta Vescovo, dalla quale passano solo regionali. Telefono a casa, ma ovviamente devono andare a lavorare, e ben lontano da Padova. Chiamo tutti quelli che vivono nella patavina city, ma nessuno è sveglio a quell’ora, ovviamente, tranne una, che però sta giusto facendo colazione a casa sua. A Verona. Chiamo Damiano, il quale però ha la macchina rotta, precisione della sfiga…passa un treno per Porta Nuova, lo prendo al flai sperando che l’intercity delle 8.38 sia miracolosamente veloce. Ivi giunta, è chiaro che è un improperi-day. Appena sotto i gradini del binario ci sono dei giovin signori in tuta fluorescente che vogliono controllare i nostri biglietti. Che carini! Peccato che io da Verona PV a Verona PN (1,20 euro, ma vi sembra possibile?) non ce l’abbia, e che quest’euroeventi potrebbe costarmene 25 (si avvisa la gentile clientela che viaggiare senza biglietto può costare caro). Attendo sul binario mentre mio padre si offre d’accompagnarmi, ma è tardi per l’auto. Le tutine se ne vanno, scendo e volo a farmi il supplemento e il biglietto fino a Pvescovo. Mancano tre minuti alla partenza di questo bellissimo Eurostar. EUROSTAR? Ma io ho il supplemento Intercity! Quei pochi sparuti santi ancora caparbiamente aggrappati alle loro nuvolette (come Goku) crollano come d’autunno sugli alberi le foglie durante una grandinata estiva (noncisonopiùlemezzestagioni). Torno indietro, mi fingo la mascotte della stazione e faccio un balletto patetico per sviare l’attenzione dalla mia avanzata furtiva verso la biglietteria saltando la fila. Tutti mi seguono facendo il trenino dell’amore, li porto fino al binario 8, li abbandono lì e torno correndo per cambiare il supplemento prima che si accumuli altra coda (purtroppo non saprei come sviarla, ho disimparato la macarena e il ballo di simone).
La Signora dei Biglietti invece di scagliare la timbratrice nel Monte Fato mi chiede a che sportello ho fatto il detto supplemento. Non ci sono segnati i numeri, suvvia, si muova che perdo il treno! La tizia sembra afferrare il concetto, anche se mormora numeri tra sé e sé. Solo dopo scopro che era il sovrapprezzo (sei euro. L’Eurostar si chiama così perché è fatto con monete fuse). Pago, corro, salgo, arrivo praticamente a SBonifacio a piedi, percorrendo il treno in lunghezza, alla ricerca del mio posto. Mi siedo e mi ricordo che mi devo angosciare per l’esame. Intanto Daniele a 80 km di distanza accende il telefono e lo prego di andare a dire il mio nome all’appello. Il Gran Turchetti e grande amico mi assicura il suo sostegno. Solo in quel momento mi ricordo di non saper distinguere Guittone D’Arezzo da Pascoli. E mi rendo conto che le mie energie sembrano appena uscite da un week end dell’azione cattolica con babysitteraggio e animazione bimbi inclusi. Arrivata a chiedo a tutti i passanti se davvero è Padova quella lì o è Trieste, che magari ho pure sbagliato treno. Ma dall’accento vicentino imperante e dall’assenza del mare (a meno che non abbia sempre sottovalutato il Piovego) mi rendo conto: sono finalmente giunta alla meta.
Alright hold tight
I’m in Eurostar!